La lettera dell’infermiere del 118 al papà di Camilla. Un modo per esorcizzare il dolore

Camilla, la bimba di 9 anni morta mentre sciava col papà

di Enrico Fedocci
Non posso fare a meno di scrivere qualche riga dopo aver letto la toccante lettera di Alessandro, l’infermiere di Torino che dalla centrale del 118 guidò nel tentativo di rianimazione, in attesa che arrivasse l’elicottero, il papà di Camilla, la bimba rimasta uccisa dopo un forte impatto con una barriera frangivento. Il servizio per l’edizione del Tg su quella bimba lo feci io quel giorno.

Ero al lavoro per il telegiornale della notte. Il mio pezzo è stato scritto e montato dalla redazione. Poco si sapeva. Solo il nome della piccola, oltre al fatto che fosse di Roma e che quello era il suo ultimo giorno di vacanza. Nessuna foto di lei. Nessuna informazione sul padre, sugli effetti che quella tragedia porterà sui suoi genitori, su tutti i suoi familiari. Nessuna notizia neanche su chi quella tragedia si è trovato a guardarla da vicino. Come, appunto, Alessandro che ha sentito il padre della piccola straziarsi di dolore mentre erano al telefono.
Immagino i suoi pensieri, anche ora che di giorni ne sono passati. Mi sembra di avvertire il suo stesso nodo in gola, leggendolo. Quel nodo in gola che quasi fa male.

Beatrice Locatelli, morta a 5 anni schiacciata da un cancello

Cose che succedono a chi è costretto ad avvicinarsi ai drammi degli altri: medici, infermieri, anche giornalisti. Tante volte mi sono trovato accanto a quel dolore. Ricordo il papà di Beatrice, Mario Locatelli. Beatrice era una bimba di 5 anni di Valmadrera, una località vicino a Lecco. Rimase schiacciata sotto un cancello di ferro lasciato incustodito fronte strada, appoggiato a un pilastro e “assicurato” con un fil di ferro minuscolo. Tanti anni fa. Era il 2007. Lo incontrai subito dopo il fatto. Rispose alle mie domande perché voleva che ciò che era accaduto alla figlia non succedesse ad altri. Mentre parlava piangeva. Mi commossi anch’io, intervistandolo. Impossibile non farlo. Ci abbracciammo alla fine dell’intervista, quando scoppiò in un pianto incontenibile. Aveva travasato in me il suo dolore. A lungo pensai a quella bimba. A volte ancora ci penso a Beatrice. Di lei sono rimasti solo foto e ricordi, invece dei capricci da bambina, invece delle intemperanze da adolescente. Beatrice avrebbe 17 anni.

Oggi, quindi, mi sono immedesimato nel dolore di Alessandro, l’infermiere che ha dovuto mantenere il controllo durante la telefonata del padre che tentava di rianimare la figlia e urlava “… ma è la mia bambina”.
Un dolore che ora è diventato parte dell’infermiere, quasi fosse una incrostazione dell’anima. Un operatore sanitario che dopo ciò che ha vissuto e provato ha sentito la necessità di scrivere questa bella lettera che ci restituisce tutto il dramma di un evento del genere. Righe che ci fanno riflettere.
E’ capitato pochi giorni fa anche a me, di ritorno da Corinaldo. Dopo 9 giorni di trasferta ho portato con me le ferite di un dramma che avevo raccontato come giornalista. Quella del giornalista è una posizione più defilata, di certo, rispetto ad un medico, ad un infermiere, ad un carabiniere, a qualcuno che si è trovato a fare concretamente. Noi dobbiamo avere una posizione piu neutra proprio per non essere influenzabili nelle valutazioni e nel nostro resoconto che deve diventare cronaca. Ma, ugualmente, si tratta di una posizione piuttosto vicina al dramma, perché, anche se in maniera diversa da soccorritori e forze dell’ordine, ci si relaziona a chi è protagonista di quei fatti. 

Eleonora Girolimini al mare con le sue bambine

Anche io ho dovuto descrivere il dolore provato a vedere Paolo Curi, il marito di Eleonora Girolimini, morta alla Lanterna Azzurra. Anche io ero troppo vicino. Così vicino da sentire la parole delle figlie di Eleonora o degli amici di Emma, un’altra delle sei vittime della strage di Corinaldo. 

Quando cominciai a fare cronaca, all’inizio della mia carriera da giornalista televisivo, mi lasciavo coinvolgere così tanto da sentir la necessità di scrivere lettere ai familiari di chi era stato ucciso, di chi era morto in circostanze misteriose, o sparito – chessò – investito da un pirata della strada. Scrivevo lettere. Era il mio modo di buttare fuori.

La figlia di Eleonora Girolimini bacia la bara della mamma

Lettere che poi non mandavo, perché mi rendevo conto che mi sarei approssimato ancor di più, stabilendo un contatto troppo intimo con i protagonisti di quelle storie. Ne mandai una sola: alla madre di Yara Gambirasio. Ero stato quasi tre mesi fuori dalla loro casa dopo la scomparsa della figlia, altrettanti dopo il ritrovamento del corpo. Trafitto da troppe emozioni. 

Emma Fabini, 14 anni. Una delle sei vittime di Corinaldo

Ma il mio pensiero, dopo aver letto la sua lettera, va a questo punto ad Alessandro, l’infermiere del 118. Il suo sfogo mi ha fatto capire ancora meglio la tragedia di Camilla che io ho raccontato dalla redazione.
Seduto alla mia scrivania, al caldo, al sicuro da coinvolgimenti personali. C’eravamo solo io e le agenzie di stampa che mi elencavano i fatti.

Quando si è sul campo, sia che tu vesta i panni dell’infermiere, del medico, del carabiniere, del poliziotto, dell’inviato di cronaca, la musica cambia e quel dolore passa attraverso i tuoi occhi, entra nelle tue orecchie, anche se cerchi di tenerti a distanza di sicurezza..
Il tutto è inevitabilmente setacciato dal cuore. E qualcosa, purtroppo, resta.

Povera Camilla, che dopo la Befana sarebbe tornata a scuola. Poveri i suoi compagni che non la vedranno tornare e che saranno costretti a guardare il suo banco vuoto e ad imparare, anzitempo, il significato della parola “morte”. Povero padre che di certo non ha nessuna colpa, ma che ora avrà un fardello su di sè per tutta la vita e non sorriderà più. Poveri tutti coloro che l’hanno “vista” morire, anche stando al telefono con il padre che tentava di eseguire le manovre salvavita e che, vedendo la figlia ormai prossima alla morte, gridava, straziato, “”Ma è la mia bambina”.

CAMILLA, LA LETTERA DI ALESSANDRO AL PAPA’ DELLA BIMBA MORTA SUGLI SCI
CORINALDO, MAI DIMENTICHERO’ QUELLE GIOVANI VITTIME

7 risposte a “La lettera dell’infermiere del 118 al papà di Camilla. Un modo per esorcizzare il dolore

  1. Buonasera mi chiamo Daniele ed ho 47 anni abito in provincia di Varese.
    Leggendo la sintesi del giornalista Fedocci,essenziale nell esposizione, mi è tornata in mente la mia storia di dolore..
    Io ,ringraziando dio non ho perso un figlio ma mio fratello quando io avevo 3 anni e lui 8 falciato davanti a casa nostra da un automobilista che procedeva a velocità sostenuta.
    Oggi a 47 anni compiuti non ricordo nulla di quel fatto,ma propio niente,sembra che la mia mente abbia voluto cancellare tutto quel dolore incredibile che come fratello minore rimasto orfano così all istante non ho potuto nemmeno piangere.
    Gli adulti,mio padre ,mia madre i nonnni gli zii loro avranno almeno gridato MA ERA IL MIO BAMBINO e io invece mi ritrovo intrappolato nel mio dolore X un fratello che non ho mai conosciuto e ricordato…. ho solo delle foto niente altro. Porto con me una sola cosa: la paura di essere abbandonato ancora e di non riuscire a farcela .Ho 3 figli ,la moglie i miei genitori e le crisi di panico che all età di 40 anni si sono presentate puntuali a ricordarti che il passato è tornato con il suo fardello di problemi e non si è dimenticato della tua storia.Grazie sig. Fedocci lei con i suoi articoli ci aiuta a ricordarci che la vita è dura essenzialmente ma bisogna continuare a combattere.

  2. Ogni volta che leggo queste storie mi viene un groppo in gola e gli occhi si riempono di lacrime. Le mie , di dolore anche se non, lo stesso che piange una persona che non C’è PIÙ. Sono contenta di aver fatto tutti i corsi del primo soccorso e l’uso del defibrillatore , che tutti dovrebbero fare xche’ è importante salvare delle vite quando ci si trova in momenti cosi critici. Ogni giorno prego per mio figlio , piango , rido , soffro, sdrammatizzo , lo sogno , lo incontro , lo abbraccio , lo vivo quando C’è, poi mi sfugge, poi torna, ma la paura che è dentro di me torna sempre è li ferma……..la paura che una maledetta siringa me lo porti via……….questo dolore è un’agonia. Ma vivo anche di speranza , quella speranza che oggi qualcuno non può ‘ più averla per colpa di un Mostro che chiamano Destino! Grazie Sig. Fedocci per le storie che ricorda alla gente , perché ‘ questi Angeli non vanno dimenticati È nemmeno il Dolore delle famiglie

    • Ci mancherebbe. E’ necessario per fare il punto e mettere dei paletti an che alle emozioni. Che, però, a volte sconfinano ugualmente. Enrico

  3. Buonasera, mi chiamo Alessio ho 46 anni e da 26 faccio il poliziotto, appena arruolato mi hanno mandato a Torino poi successivamente alla polizia stradale, la mia vita si svolgeva in autostrada a rilevare incidenti, molti dei quali mortali. Leggendo questo articolo mi rivedo nel giornalista, i tuoi occhi leggono il dolore, la tua anima soffre con i parenti delle vittime e tu purtroppo non puoi fare nulla, devi essere obiettivo e riuscire a tenere la giusta distanza sempre però mantenendo il lato umano, quello non deve mai mancare. Quante volte avrei voluto fare di più, ancora oggi in alcuni casi mi chiedo se sia giusto oppure sia meglio mantenere quel distacco che ti aiuta a non somatizzate troppo. Oggi con 2 figli piccoli soffro più di prima le vicende sulle quali intervengo. Grazie Enrico Fedocci per questa sua analisi. La continuerò a seguire, complimenti per il pezzo.

    • Già. Voi, poi, siete i più esposti, proprio perché vi relazionate nel momento più difficile. Deve essere un dramma. Ogni tanto mi capita di raccontare qualche bella storia a lieto fine. In cui chi ha bisogno si rivolge a carabinieri, polizia, locale, ma anche ad altre Istituzioni. E quanto è bello raccontare storie a lieto fine. Un caro saluto a lei. Enrico

  4. Sono padre di una bambina di 12 e uno di 4, ho letto la lettera dell’infermiere mentre ero in autogrill con mia moglie mangiando una pizza.
    Il dolore che è arrivato al mio corpo mi ha pervaso e fatto lacrimare abbondantemente senza riuscire a mangiare per alcuni minuti, tutto di nascosto perché per fortuna mia moglie era andata al bagno e al suo ritorno ero riuscito a ricompormi.
    Il mio pensiero va a tutte le persone che perdono un proprio caro e mi auguro che queste cose capitino il meno possibile. Ringrazio tutti coloro che riescono a dare una mano in quei momenti drammatici, io non ne avrei la forza sarei un peso, troppo dolore.
    Grazie a tutti voi “corpi speciali”.
    Un pensiero va alle famiglie colpite da queste disgrazie.

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