Yara, Chiara e Meredith, ecco i gialli italiani Sul banco degli imputati ora c’è la giustizia

di Enrico Fedocci
Indagini improvvisate, condotte con imperizia, cercando di proporre – e alla svelta – un colpevole all’opinione pubblica. Un colpevole a cui attribuire indizi e prove.
La Cassazione spiega i motivi per cui ha deciso di assolvere Amanda Knox e Raffaele Sollecito dall’accusa di avere ucciso Meredith Kercher e nelle motivazioni punta il dito su chi ha condotto le indagini. Nessun elemento, hanno scritto i magistrati, inchioda i due imputati alla scena del crimine. Nessun elemento evidenzia un possibile movente. Continua a leggere

Sanremo, trovata maxi serra di marijuana Carabinieri arrestano tre uomini del posto

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I TRE CRIMINALI, UN 54ENNE, UN 43ENNE E UN 31ENNE, ERANO TUTTI RESIDENTI NELLA CITTÀ DEI FIORI. PUGNO DURO DELL’ARMA CONTRO I TRAFFICANTI

Avevano allestito una serra a coltivazione di marijuana, in una zona collinare difficile da raggiungere nella località Codirodi a Sanremo ma i loro movimenti non sono sfuggiti ai Carabinieri delle Compagnie di Sanremo e Bordighera.
Non c’erano dunque coltivati fiori nella serra, che fino a pochi anni fa era piena di rose, ma centinaia di piante di marijuana (già pronte per essere tagliate).
L’operazione è scattata alle prime ore dell’alba alla frazione Coldirodi di Sanremo. Nel corso della stessa sono finiti in manette tre uomini ed è stata sequestrata una serra contente circa duemila piante di cannabis indica già cresciute e pronte ormai per il raccolto. Continua a leggere

Brembate, Don Corinno lascia la parrocchia “Così l’ho conosciuto durante il caso Yara”

I GIORNALISTI DOVREBBERO ESSERE COME I MEDICI: NON FARSI COINVOLGERE EMOTIVAMENTE DALLE STORIE CHE RACCONTANO. COSI, PER ME, NON E’ STATO NEL CASO DELLA MORTE DI YARA. HO PERSO UN MINIMO DI LUCIDITA’ E DISTACCO DAL FATTO DI CUI ERO CRONISTA. MA QUASI CINQUE ANNI A BREMBATE MI HANNO INSEGNATO TANTO DA UN PUNTO DI VISTA PERSONALE. E MI HANNO FATTO CRESCERE ATTRAVERSO IL CONFRONTO CON PERSONE STRAORDINARIE COME DON CORINNO SCOTTI

Il parroco di Brembate, Don Corinno

Il parroco di Brembate, Don Corinno Scotti

di Enrico Fedocci
Un pastore che ha saputo condurre il suo gregge in un momento drammatico, la morte di Yara Gambirasio. Don Corinno Scotti, sacerdote nella piccola comunità di Brembate Sopra, lascia la guida della parrocchia che per 13 anni anni ha amato. Capelli bianchi e folti, poco incline alle smancerie, ha fatto della sostanza una cifra distintiva nel suo essere vicino alla gente, ai bisognosi, a coloro che si sono smarriti. E proprio la gente di qui, di questo paese della Bergamasca, il 26 novembre del 2010 si è smarrita, confusa, scossa, turbata, raggelata dalla scomparsa di una bimba, conosciuta ed apprezzata da tutti. Rapita ed uccisa da chi, ancor più, aveva perso la strada dell’amore verso il prossimo e verso se stesso.
Quando arrivai a Brembate, poco dopo il delitto, quest’uomo sicuro di sé, gentile con tutti, ma schivo nei confronti di telecamere e giornalisti, mi era poco simpatico. Il suo atteggiamento mi suggeriva supponenza, scortesia. Nulla di più sbagliato. E’ stato un giorno dello scorso anno che ho capito che le mie erano valutazioni errate.

Il presunto assassino, Massimo Giuseppe Bossetti, era stato arrestato da pochi giorni. Volevo intervistare Don Corinno Scotti. Lasciai il cameraman fuori dalla chiesa, entrai e trovai Don Corinno  – come era sua abitudine – seduto sulla seconda panca davanti all’altare. Pensieroso, intento nelle sue preghiere. Pensavo non mi rispondesse, come tutte le altre volte quando ero arrivato con il microfono in mano e l’operatore dietro di me pronto a riprendere. No, questa volta, no. Appena mi vide fece cenno di sedermi, accennando un sorriso. Spostò il breviario che era sulla panca accanto a lui e mi fece posto.
Ero entrato per chiedergli una intervista, ma la sua concentrazione, il suo dedicarsi alle Sacre Scritture, colpì me così poco incline alla preghiera. Appena seduto non ricordavo più che cosa avrei dovuto chiedergli. Un attimo di esitazione, poi, abbandonando l’idea dell’intervista, gli dissi: “Don Corinno, sono venuto per lavoro, ma – già che sono qui – vorrei chiederle un’altra cosa, vorrei condividere con lei alcune considerazioni che ho fatto in questi giorni”.

E in quei giorni a colpirmi – erano passati quasi 4 anni dalla morte di Yara – non era il dolore della famiglia della 13enne, che già conoscevo bene e su cui avevo riflettuto molto,  ma l’apparente normalità di Bossetti, del suo mondo. Mi domandavo e ridomandavo come fosse possibile che un uomo con una bella famiglia, tre figli piccoli, una moglie, potesse commettere un delitto del genere, sempre che sia stato lui ad uccidere come sostengono gli inquirenti. Aggiunsi: “Se un uomo che ha tutto, affetti, futuro familiare, gioie, fa una cosa del genere… cosa devo pensare? Come è possibile? Io non ci capisco più niente”.
Parlammo a lungo io e Don Corinno quel pomeriggio, sfiorando momenti di grande commozione.

Gli confidai della mia difficoltà di cronista di immergermi ancora in storie drammatiche e di raccontare, oltre ai fatti, il dolore dei protagonisti. Anche i medici, come i cronisti, devono cercare di non lasciarsi fagocitare dal dramma di cui si occupano. E noi siamo così, siamo come dei medici: necessario riferire ciò che accade nel Paese, soprattutto quando accadono le cose brutte, perché si abbia un termometro di cosa avviene ed intervenire, come popolo civile, laddove si può. Solo durante il fascismo c’era il divieto di parlare di cronaca nera e così il Ministero della Cultura Popolare censurava, perché bisognava dire che tutto andava bene.
Così l’informazione è una necessità. A volte fastidiosa, soprattutto per le vittime di casi di cronaca nera e le loro famiglie. Un “male” necessario, direi piuttosto. Per restare lucidi ed obiettivi rispetto ai fatti bisogna non lasciarsi coinvolgere. Non è cinismo il nostro, è istinto di sopravvivenza ed esigenza di rimanere al di sopra delle parti.

Nel caso della storia di Yara non sempre sono riuscito ad essere distaccato. Era inevitabile. Per quattro anni ho vissuto gomito a gomito con un’intera comunità. Vedendo – anche se da lontano –  il dolore della famiglia, della madre, dei fratelli della ragazzina. Ad un certo punto, subito dopo il ritrovamento del corpo, ho cominciato a  sentire quel dolore anche un po’ mio: Yara diventava poco alla volta mia sorella, mia figlia, la bambina del piano di sotto. Insomma, qualcuno di familiare.

Quel giugno 2014, il ritorno a Brembate dopo l’arresto di un sospetto mi ha riproposto gli stessi interrogativi di tre anni prima. Ma in questa storia assurda, a quel punto, al dolore dei familiari della ginnasta, si univa quello di un’altra famiglia con figli troppo piccoli per capire ed elaborare. Altre persone incolpevoli si trovavano catapultate in un dramma.

Don Corinno e Papa Francesco celebrano la messa

Don Corinno e Papa Francesco celebrano la messa

Ed è stato in quella occasione che Don Corinno, dopo avermi scansato e driblato per anni nella mia veste di giornalista, ha aiutato l’uomo che si spogliava dei panni professionali  a mettere a fuoco questioni che non hanno risposta.
E’ per questo che domenica, nel giorno della sua ultima messa in quella comunità, ho deciso di andare a salutare Don Corinno. La chiesa era gremita, gioiosa, riconoscente ad un uomo che, dopo aver fatto per anni il missionario in Ecuador, si è trovato a gestire emergenze spirituali ancor più grosse nella piccola e tranquilla Brembate. L’emergenza di una cittadina che si sentiva smarrita davanti a qualcosa di incomprensibile come il delitto di una bambina. Uccisa, se fosse confermata l’accusa, da uno di loro, da una persona cresciuta in quelle strade.
E domenica, mentre ero seduto tra quelle panche con gli altri parrocchiani, mi sono sentito orgogliosamente uno di loro che salutava il proprio pastore.

Don Corinno dall’altare questa volta non ha parlato di Yara, nonostante in chiesa ci fosse la madre. E forse non lo ha fatto volutamente. Non c’era bisogno di nominarla. I suoi occhi, gli occhi di Don Corinno,  parlavano di lei e i parrocchiani lo hanno capito perfettamente. La malinconia per quella bimba sottratta all’ovile si legge perfettamente nello sguardo di questo sacerdote missionario. In ogni momento. Anche quando sorride e si rivolge ai bambini del catechismo, contento di vederli lì – almeno loro, se non Yara – in chiesa, gioiosi ed accuditi dalla comunità e dalle loro famiglie.

Lo hanno ringraziato i suoi fedeli, in maniera molto eloquente. Io lo voglio salutare scrivendo queste poche (o tante!) righe. Perché se è vero che la storia di Yara ha cambiato il mio modo di essere cronista, Don Corinno, con le sue parole mai banali, sempre di speranza, con il suo esempio, ha cambiato il mio modo di essere uomo.  E di questo lo ringrazio. Ripromettendomi di continuare a vederlo anche quando sarà al Santuario della Madonna di Levate dove andrà per dedicarsi a se stesso e alla preghiera. Che poi, in fondo, è la stessa cosa.

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Arresto del presunto omicida del gioielliere, Generale Agovino: “Impegno mantenuto”

Il generale di Divisione Angelo Agovino

Il generale di Divisione Angelo Agovino

“Era un impegno morale che avevamo preso con i familiari della vittima e con i romani”.

E’ quanto ha dichiarato il generale Angelo Agovino, Comandante della Legione dei carabinieri del Lazio dopo il fermo del presunto omicida del gioielliere Giancarlo Nocchia.

“E’ un risultato – prosegue il generale Agovino – che è il frutto di una perfetta sinergia tra la Procura  della Repubblica di Roma e i Reparti investigativi dell’Arma, reso possibile da un apparato organizzativo di eccellenza e dal sacrificio di uomini che per quattro giorni e quattro notti hanno tralasciato famiglie e riposo, per dare risposta ad un delitto odioso che aveva scosso le coscienze ed allarmato i cittadini ”.

 

IL FATTO
I Carabinieri del Comando Provinciale di Roma sabato sera avevano fermato un uomo di 32 anni, italiano, originario di Napoli, ritenuto responsabile della rapina e dell’omicidio del gioielliere  Giancarlo Nocchia avvenuto il 15 luglio scorso in via dei Gracchi a Roma.

L’uomo, che è stato bloccato a bordo di un treno, era armato di pistola e aveva con sé un borsone contenente la refurtiva portata via durante il colpo alla gioielleria.

Lapide del generale Dalla Chiesa in degrado, dopo la denuncia di Tgcom24 partono i lavori

  Ecco come era il monumento a novembre 2014

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DOPO I NOSTRI ARTICOLI, L’INTERVENTO DEL COMUNE CHE ALL’INDOMANI DELLA PUBBLICAZIONE DEI SERVIZI AVEVA CHIESTO SCUSA AI MILANESI E AI FAMILIARI DEL GENERALE CON UN COMUNICATO STAMPA

di Enrico Fedocci

Un cartello con le indicazioni di inizio attività e una previsione di chiusura dei lavori per il 30 settembre di quest’anno. Dopo la duplice denuncia di Cronaca Criminale/Tgcom24 il Comune di Milano ha deciso di intervenire mettendo a posto l’area dedicata al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Nel novembre scorso avevamo segnalato che il monumento di piazza Diaz a Milano era in uno stato di degrado totale, nascosto dai parcheggi di moto e motorini, non curato, insomma, dimenticato.

La figlia del generale, Rita,  da noi intervistata, si era detta dispiaciuta per lo stato di abbandono della lapide, affidandoci il suo appello al sindaco di Milano Giuliano Pisapia, affinchè intervenisse.
Circa due mesi dopo la nostra denuncia, con ordinanza del 21 gennaio del 2015, l’assessorato ai lavori pubblici ha affidato l’appalto ad una ditta ed ora sono cominciati i lavori per rendere l’area più vivibile ed accogliente. Sarà posizionato un faro di illuminazione in modo tale che la lapide sia finalmente visibile, saranno spostati i parcheggi dei motorini.

Insomma, il problema è stato affrontato e risolto come si conviene ad una amministrazione che ha il dovere di ricordare uomini illustri come il generale Dalla Chiesa, carabiniere esemplare, capace, regista della sconfitta del terrorismo delle  Brigate Rosse che per anni ha tenuto ostaggio l’Italia.

L’ufficiale fu poi ucciso a Palermo assieme alla seconda moglie, Emanuela Setti Carraro, durante un agguato deciso dal vertice di Cosa Nostra, 100 giorni dopo essere arrivato nel capoluogo siciliano per combattere la Mafia.

Nonostante lo sdegno della cittadinanza alla notizia della lapide dimenticata, qualcuno si ostina a parcheggiare lì davanti: non solo motorini, ma addirittura le auto, come mostra una delle foto della gallery. Perché gli incaricati del Comune di Milano mettano dei dissuasori che impediscano il parcheggio – ci auguriamo – è solo questione di tempo.

MILANO DIMENTICA IL GENERALE DALLA CHIESA, PARCHEGGI PER MOTO DAVANTI AL MONUMENTO

DALLA CHIESA, LAPIDE ANCORA COPERTA, L’APPELLO DI RITA AL SINDACO PISAPIA

DALLA CHIESA, IL SINDACO NON RISPONDE. IL SENATORE DE CORATO LO BACCHETTA 

 

 

Batte il cuore di rondine del Comandante Alfa Esce il libro di uno dei 5 fondatori del Gis

E’ stato lui, assieme ad altri 4 colleghi, a fondare il Gruppo di Intervento Speciale dei carabinieri, il Gis. Era il 1977, emergenza terrorismo, ministro dell’Interno Francesco Cossiga che decise la nascita di questo reparto d’elite all’interno dell’arma. Uomini selezionati tra i carabinieri paracadusti, che sapessero intervenire nelle situazioni più difficili come sequestri di persona, banditi asserragliati.

La copertina di "Cuore di Rondine", Longanesi editore

La copertina di “Cuore di Rondine”, Longanesi editore

Quando i Gis entrano in azione si cerca di non sparare un colpo, di salvare ostaggi, tutelando anche la vita dei criminali. Dopo 38 anni di attività il Comandante Alfa, ora istruttore dei nuovi componenti del gruppo, ha deciso di raccontare la sua vita, le sue esperienze, gli interventi più delicati in un libro, Cuore di rondine, edito da Longanesi che in libreria sta dando filo da torcere ad autori più consolidati. Dalla liberazione delle guardie al carcere di Trani, battesimo del fuoco, al sequestro Tacchella, passando per il blitz sul campanile di San Marco a Venezia, con i “serenissimi”.  Il militare ha presentato il volume a Merate in provincia di Lecco all’auditorium del Comune in una serata organizzata da Manuel Spadaccini, presidente della Kma.
Sala piena, vendita di copie alle stelle. Ma il Comandante Alfa, costretto a rimanere nascosto per motivi di sicurezza dietro al mefisto, ha deciso di donare il ricavato delle vendite all’Onaomac, l’opera assistenziale creata dall’Arma per gli orfani della Benemerita.

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Sanremo, in manette due coltivatori di droga Un manuale per creare piantagione perfetta

Il Luogotenente Felice Rinaldi e il Maresciallo Capo Espedito Longobardi assieme ai loro uomini

Un manuale per allestire e rendere produttiva una piantagione di droga.  Così due giovani di Taggia (Im), hanno deciso di improvvisarsi coltivatori di marijuana, seguendo passo passo le indicazioni del manuale. 98 piante erano quasi pronte per essere essiccate e immesse nel mercato illegale di stupefacenti. Ma i carabinieri di Badalucco e Arma di Taggia sono riusciti a scovare l’appezzamento durante i quotidiani e attenti controlli del territorio. Appostamenti, pedinamenti, documentazione fotografica, i militari coordinati dal Luogotenente Mauro Felice Rinaldi e dal Maresciallo Capo Espedito Longobardi sono così riusciti a raccogliere materiale più che sufficiente per convincere la procura. Arrestati un 28enne e un 23enne di Taggia che da più di un mese si erano dedicati alla coltivazione di piante fuorilegge.

Gli uomini del Luogotenente Rinaldi e del Maresciallo  Longobardi, così, nel giro di poche settimane sono riusciti a documentare l’attività di coltivazione di marijuana da parte dei due ragazzi che, praticamente ogni giorno, si recavano presso un appezzamento di terreno montano situato in una zona impervia tra Taggia e Badalucco per curare e far crescere le 98 piante di cannabis. Continua a leggere

Cocaina, armi e denaro, 2 uomini in manette Brillante operazione della GdF di Milano

Oltre 1 chilo di cocaina, una pistola semiautomatica con matricola abrasa e tre fucili di cui uno risultato rubato, per un valore stimato di circa 200mila euro, sono stati sequestrati da militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Milano, durante un’operazione antidroga svolta tra i comuni di Corbetta, Santo Stefano Ticino e Arluno. In manette sono finiti due cittadini italiani di 35 anni e 58 anni con l’accuse di traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, di detenzione abusiva di armi da fuoco e ricettazione, per cui rischiano fino a 20 anni di carcere. Continua a leggere

Picchia la moglie e sequestra figlio di 16 mesi Carabinieri di Olbia salvano bimbo e mamma

CON UN INTERVENTO LAMPO I MILITARI DISTRAGGONO L’UOMO E LO BLOCCANO TRA GLI APPLAUSI DELLA GENTE
Ha picchiato la moglie, tirandole pugni, strappandole i capelli, mordendola, spaccandole una costola, poi, dopo che la donna è riuscita a fuggire terrorizzata, si è barricato all’interno dell’abitazione con il figlio di 16 mesi, minacciando di fare del male al piccolo. Sono stati i carabinieri della Stazione di Olbia Centro assieme ai colleghi del Nucleo Radiomobile e della Stazione di Golfo Aranci ad arrestare un uomo di 35 anni, Francesco Amoroso, professione cuoco, con numerosi precedenti di polizia sulle spalle in particolare per traffico di stupefacenti. Continua a leggere

Il generale Agovino incontra Di Summa, carabiniere eroe che ha salvato una 23enne

fedoxHa voluto incontrarlo personalmente, per complimentarsi con lui. Il generale di divisione Angelo Agovino ieri ha incontrato nel suo ufficio, al Comando Legione Lazio, Eusepio Di Summa, il carabiniere eroe che poche ore prima aveva salvato una turista americana di 23 anni che, dopo aver scavalcato il parapetto, si era gettata dal Ponte Garibaldi nel fiume Tevere, a Roma. Continua a leggere