Venti anni di carcere al sacerdote assassino La sua amante: “Don Giorgio mi ha rovinata”

Di spalle, col cappello, l'amante del prete di Vignola durante una intervista ad Enrico Fedocci

La verità su quel delitto non si è mai saputa. Non si è mai capito perché Don Giorgio Panini, ai tempi parroco di Vignola, una notte si sia alzato e abbia accoltellato l’amico di sempre, Sergio Manfredini, 68 anni, e abbia tentato di uccidere anche la moglie di lui, ma riuscendo solo a ferirla. Fino a quel momento, almeno in apparenza, tutto era perfetto. Il sacerdote del paese era amico di famiglia dell’imprenditore.
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A sei anni i genitori lo facevano prostituire Ora Stefan è tornato a giocare e a sorridere

Una foto di Stefan quando aveva 6 anni

21 aprile del 2005: a Milano un bimbo di sei anni e mezzo viene rapito da un centro per i minori maltrattati.  In tanti probabilmente lo ricorderanno come il piccolo Stefan, un rom che la polizia aveva trovato ad un semaforo con i capelli lunghi acconciati come una femmina e le unghie laccate. Il sospetto era che i genitori lo facessero prostituire.

Dopo il rapimento si scoprì che erano stati il padre e la madre a portarlo via dalle cure degli psicologi. Una fuga durata una settimana, poi il blitz della polizia e la liberazione. Stefan era nella casa di Iulian Curulea, un romeno che ai tempi faceva da portavoce per la comunità rom che viveva al campo di Triboniano.
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La triste storia di Federico, ucciso dal papà mentre era affidato agli assistenti sociali

Federico, ucciso dal papà a San Donato Milanese

Era il 25 febbraio del 2009. Federico doveva incontrare il papà all’interno degli uffici degli assistenti sociali di San Donato Milanese nell’ambito di un incontro protretto. All’improvviso, il padre, un egiziano di 53 anni che aveva già manifestato problemi di scarso equilibrio, approfittando dell’assenza di chi doveva vegliare sul bambino,  ha estratto una pistola e ha ucciso il piccolo con un colpo alla nuca. Poi lo ha accoltellato e con la stessa lama si è tagliato le vene e si è ucciso.
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Uccisa e lasciata su una panchina di Milano Ma l’assassino di Pasqualina è ancora libero

L'identikit dell'assassino

Era il 7 maggio del 2009. Su una panchina di Milano  fu trovata una donna, stesa, senza vita, uccisa da una coltellata. Pasqualina Labarbuta, 37 anni, è stata assassinata e il colpevole è ancora libero. A nulla è servito il coltello di 9 centimetri trovato poco distante con le impronte digitali. A nulla è servito il Dna isolato sul manico dell’arma. Ma la Squadra Mobile della Polizia di Stato di Milano non ha abbandonato le indagini. Dopo due anni e mezzo si cerca ancora un uomo di 35 anni circa, alto un metro e settanta. Una testimone ha raccontato particolari preziosi per tracciare l’identikit, ma nessuno sembra avere riconosciuto in quel disegno l’assassino.
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Il sogno dell’ex bandito Luciano Lutring: “Rapinare una banca e fuggire sparando”

Luciano Lutring durante una rapina

Rapinare una banca e sparare in aria con un mitra durante il colpo.  E’ il sogno ricorrente dell’ex bandito Luciano Lutring, soprannominato dai cronisti di 50 anni fa  il“Solista del mitra” : lui, che dalla fine degli anni 50 a metà degli anni 60, ha terrorizzato Italia e Francia svaligiando circa 300 banche divenne in poco tempo il “pericolo pubblico numero uno”.

Ora Lutring ha 75 anni, e – vivaddio! – ha messo la testa a posto. E’ stato in carcere per oltre 15 anni e, dopo essere stato graziato per i suoi reati da due Capi di Stato diversi,  ha riposto il mitra e imbracciato tavolozza e pennelli, diventando un pittore molto apprezzato e quotato. 
Proprio per i suoi meriti artistici, ai tempi, i presidenti francese e italiano, Georges Pompidou e Giovanni Leone, decisero che a Lutring dovesse essere data una nuova possibilità.

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Delitto di Sondrio, il padre di Sonia chiede: “Dov’è finito l’assassino di mia figlia?”

 

L'assassino di Sonia durante una intervista

Ha ucciso sua moglie nel 2000, è stato condannato a 11 anni e 4 mesi di carcere. Ma ora non si sa dove sia finito.
A chiederlo è Paolo di Gregorio, padre di Sonia, la ragazza di 20 anni sgozzata dal marito a Cino, in provincia di Sondrio.

L’omicida, Francesco Gussoni, a cui fu riconosciuta una semi infermità di mente, dopo alcuni anni di cure psichiatriche è rimasto dietro le sbarre solo per 2 anni e 8 mesi.
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Benzinaio ucciso, l’appello del figlio al killer: “Senza pentimento non sarai mai libero”

Angelo Canavesi, il benzinaio ucciso

“Se l’assassino ha una coscienza si costituisca, altrimenti non sarà mai libero”
Sono parole di Emanuele Canavesi il figlio di Angelo, il benzinaio di Gorla Minore ucciso nel Varesotto durante una rapina al suo distributore nel febbraio del 2010.
Uno sfogo che il giovane, che ora continua assieme alla sorella l’attività del padre, affida a Cronaca Criminale affinché l’uomo che ha sparato non rimanga nell’ombra.
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Ergastolo per il “Mostro delle mani mozzate” E la sua famiglia ora è finita alla gogna

Carla Molinari, la vittima del "mostro"

Il suo nome è Domenico. Ma ciò che ultimamente gli ha causato tanti problemi, purtroppo,  è il cognome. E così, Domenico Piccolomo, 50 anni, muratore con una attività in proprio, fratello minore di Giuseppe Piccolomo – più noto alle cronache come il “mostro dalle mani mozzate” – ora è nei guai.
Nessuno – proprio nessuno – vuole avere a che fare con lui dopo che nel novembre di due anni fa suo fratello Giuseppe è stato arrestato con l’accusa di avere ucciso a Cocquio Trevisago, in provincia di Varese, l’anziana Carla Molinari mutilandola delle mani.
L’assassino dell’anziana ora è in carcere condannato all’ergastolo, ma i problemi ora sono per i congiunti come Domenico che incontrano la diffidenza della gente e non riescono più a lavorare come un tempo.
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Matilda, madre assolta ma i giornali tacciono Quando a processo Antonio Cangialosi?


La recente assoluzione in Cassazione di Elena Romani chiude definitivamente la vicenda sulla presunta responsabilità della donna nella morte di Matilda, la figlia di due anni.  Secondo l’accusa, l’hostess di Legnano aveva colpito la piccola con un calcio perché faceva i capricci, causandone la morte per spappolamento di fegato, reni e perforazione di un polmone.

Una sentenza definitiva passata quasi sotto silenzio. Purtroppo, una “non notizia” secondo i media che l’hanno relegata al taglio basso delle pagine o ridotta a boxino nelle brevi di cronaca. E, quindi, dopo il tanto clamore che aveva suscitato l’accusa, la totale estraneità di questa donna è passata in secondo piano. Cose già viste, verrebbe da dire.  Peccato, perché ciò che non è stato colto è che questa sentenza chiude un capitolo, ma ne apre un altro: secondo le motivazioni d’assoluzione di secondo grado, la Romani non solo non ha ucciso la figlia e quindi non è in alcun modo responsabile della sua morte, ma secondo il presidente della Corte d’Assise d’Appello di Torino le prove che discolpano lei, inchioderebbero l’ex compagno Antonio Cangialosi, presente in casa quel giorno a Roasio il 2 luglio del 2005.  Avrebbe quindi ucciso lui Matilda, secondo i giudici torinesi. Inoltre, particolare non secondario, Matilda ha perso i sensi proprio mentre lui ce l’aveva in braccio ed Elena Romani era in giardino a stendere un cuscino che la bimba aveva sporcato. Continua a leggere



Yara, le indagini viste con gli occhi dell’assassino: “Non mi prenderete mai”

Chissà che cosa pensa? Chissà che cosa  gli passa per la testa mentre guarda in televisione servizi su Yara o legge sul giornale le ultime novità sul caso? Chissà che effetto gli fa vedere i titoli sul delitto, le notizie sui confronti dei Dna? Si sente il fiato degli investigatori sul collo, oppure, proprio perché lui sa che cosa è successo quel 26 novembre del 2010, prima fuori dalla palestra di Brembate Sopra e poi nel campo di Chignolo d’Isola, è tranquillo vedendo i tanti buchi nell’acqua della Procura?

In questo anno in cui mi sono dedicato al delitto di Yara Gambirasio, spesso mi sono fatto questa domanda. L’assassino potrebbe essere della zona, si è detto, e quindi mi sono sorpreso ad immaginarlo mentre cammina, libero ed indisturbato, per le strade del piccolo centro della Bergamasca. E magari, mentre qualcuno parla di quel delitto, chessò, in ufficio, a scuola o addirittura all’oratorio, anche lui potrebbe dire la sua.  Continua a leggere