Del Sette, ancora un anno alla guida dell’Arma, killeraggio mediatico fallisce il suo obiettivo

Il generale Tullio Del Sette, Comandante Generale dell’Arma dei carabinieri

di Enrico Fedocci

La notizia della riconferma del generale Tullio Del Sette alla guida dell’Arma dei carabinieri fino al 15 gennaio del 2018 riconcilia la realtà delle cose con la verità dei fatti.
Alla fine del mese scorso era apparsa fin da subito molto sospetta la violenta – ma forse bisognerebbe usare il superlativo violentissima – campagna mediatica che coinvolgeva il Comandante Generale della Benemerita e che lasciava intravedere bersagli ancora più in primo piano come l’ex premier Matteo Renzi ed il suo più stretto collaboratore, il ministro Luca Lotti: si trattava di notizie ancora tutte da verificare, ma che avevano, per ragione di applicazione della legge, portato all’iscrizione nel registro degli indagati del generale Del Sette, sulla base di informazioni riferite. 

All’inizio ho cercato di rimanere nel ruolo di osservatore della vicenda, evitando – almeno in quel momento –  di indossare i panni del commentatore, visto che in passato in una fase analoga mi era stata attribuita un’indiretta responsabilità nella mancata proroga del generale Leonardo Gallitelli, a seguito della pubblicazione di alcuni articoli a mia firma sulla successione, relativi a un confronto molto duro di Gallitelli stesso con il generale Vincenzo Giuliani.
Oggi, a cose fatte, posso con serenità commentare positivamente la notizia della proroga di un anno di Del Sette. In uno Stato di diritto non può essere un’azione di killeraggio mediatico a determinare equilibri così delicati per le istituzioni repubblicane.
Se perfino un movimento come quello dei “5 Stelle” mette in discussione, nel suo codice etico, l’automatismo avviso di garanzia-dimissioni/rimozione significa che davvero sarebbe da regime peronista decidere di non riconfermare un eccellente servitore dello Stato sulla base di iniziative giornalistiche alquanto discutibili anche sotto il profilo strettamente deontologico.
Si ricorda – e i giornalisti dovrebbero averlo bene a mente – che negli ultimi 10 anni il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha varato una serie di codici deontologici che sanciscono due principi fondamentali per il diritto di cronaca: non fare processi mediatici, non anticipare in chiave colpevolista l’esito di indagini in corso, ma attendere tutte le risultanze istruttorie.

Se i giornalisti autori di quei discutibili articoli avessero applicato correttamente questi principi, non avrebbero tratto conclusioni affrettate e oggi non “sbraiterebbero” perfino contro il Presidente della Repubblica per una decisione, quella della riconferma di Del Sette stabilita dal Consiglio dei ministri, che si muove nel solco della provvidenziale continuità operativa in una fase così delicata per la sicurezza del nostro Paese e delle nostre istituzioni. 
Informare non vuol dire deformare.