I gemellini uccisi per un “dispetto” alla moglie e il dolore del cronista nel raccontare il dramma di altri

 

Elena e Diego con il padre

di Enrico Fedocci
La brutta storia dei gemellini Elena e Diego, uccisi dal padre il 27 giugno a Margno, Lecco, mi gira nella testa da quando ho visto passare le loro bare portate fuori dalla casa del delitto per essere caricate su un furgone e messe a disposizione del medico legale. Mentre passavano le due casse pensavo: “Loro sono lì dentro”. Un momento di smarrimento da cronista ormai stanco di tanto dolore.

L’autopsia ha raccontato la storia drammatica di questi due 12enni usati per fare un “dispetto”. Già, un dispetto. È la parola giusta. C’è chi riga la macchina per un dispetto. Mario Bressi, nella sua follia, voleva fare un dispetto alla moglie e ha ucciso i suoi stessi figli. Voleva farla pagare alla moglie che aveva osato chiedere la separazione pochi giorni prima. Lui non aveva fatto una piega. Almeno in apparenza, niente di preoccupante. Poi, come nulla fosse, senza che Daniela Fumagalli, la mamma dei piccoli, sospettasse nulla, è andato nella loro casa delle vacanze, una escursione, il selfie con i bimbi, poi è tornato a casa, forse li ha sedati, quindi li ha strangolati. Come se nulla fosse, anche in questo caso.

Dopodiché, questo maledetto – perdonatemi, ma è più forte di me – ha scritto alla moglie: “Da domani avrai ben altro a cui pensare. Altro che mensa scolastica”. Lei ha letto… inutile correre… lui li aveva già uccisi. E si è suicidato. Per non pagare il conto: né con la sua coscienza, tantomeno con la giustizia. 

La disperazione della madre che abbraccia la bara

Da cronista sempre più dentro ai fatti, e con una corazza forse ormai troppo sottile per attutire colpi simili, anche solo vedere quelle foto di Elena e Diego non è stato semplice. Non so perché, ma Diego mi ha colpito ancor più di Elena. Forse perché sembrava maggiormente indifeso rispetto alla sorella. Si fidavano del padre. Pensare al sorriso spontaneo di entrambi nella ultima foto, beh, mi ha fatto male e ancora ci penso. 

Io, che figli non ne ho, prima della diretta del Tg5 di quel giorno, mi sono preparato davanti alla telecamera, ma appena Alberto Bilà mi ha dato la linea, mi si è rotta la voce. Solo un istante. 

Ho schiarito con un colpo di tosse, e sono partito con il mio resoconto, distaccato come sempre. Forse cinico agli occhi degli altri, ma con un tono di voce non troppo partecipe a quella tragedia immensa. Il giornalista è come il medico, non deve lasciarsi coinvolgere perché altrimenti perde di lucidità. Così ho fatto nei miei servizi. 

L’ultima foto dei gemellini prima che il padre li uccidesse

Ma è da giorni che penso e ripenso a quei due bambini, alla loro mamma, alla fiducia tradita di quei sorrisi nelle foto. Ma penso anche a quello psicopatico del padre, poveri cuccioli. 

Oggi al funerale ho visto passare quelle bare, ancora una volta e – di nuovo – ho pensato: “Loro sono lì dentro”. 
Forse con il vestito più bello che avevano nell’armadio, un vestito probabilmente scelto dalla loro mamma, chissà con quanta cura, prima del funerale.
Ho parlato così tanto in questa settimana di questi bambini che non ho mai conosciuto. Ho guardato così a lungo le loro foto. Mi sono commosso più e più volte, pensando al ruolo del cronista: è giusto essere lì in quei luoghi o sarebbe meglio stare lontano? Proprio lì dove la gente può considerare inopportune le tue domande, la tua presenza, tutte quelle telecamere, quei fotografi, quei giornalisti col taccuino. 

Elena e Diego

A volte ci si sente davvero fuori luogo. Ma poi mi vengono in mente le parole del mio amico e collega del Corriere della Sera Cesare Giuzzi che, proprio oggi, sulla sua bacheca Facebook ha cercato di riflettere su altre morti, quelle di chi è stato ucciso dal Covid 19. Per forza di cose un continuo aggiornamento di numeri che salgono, salgono… a centinaia, a migliaia. 

“No, non possiamo elencare solo il numero dei morti – ha scritto Cesare –  perché noi siamo uomini, e la morte di ognuno di noi deve avere un significato”. Già, è giusto ricordare chi non c’è più, spiegando quali fossero le sue ambizioni, le sue passioni, dando un significato alla sua morte, soprattutto se è conseguenza di un’ingiustizia. 

La mamma di Elena e Diego abbracciata dagli amici

E allora penso a questi due bambini. Ieri pomeriggio, scrivendo il pezzo (che troverete allegato a questo post) andato in onda nel Tg5 delle 20 ho soppesato ogni parola, ho curato ogni immagine, ogni dettaglio, uscendo dalla redazione ben oltre il mio orario di lavoro,  perché il servizio che ho scritto per loro doveva essere perfetto, almeno dal mio punto di vista. Era il mio modo di salutarli e di rendere onore a quei piccolini, con ancora il futuro davanti, che ora non ci sono più.

Spero che quella mamma possa trovare una ragione di vita per andare avanti e non morire di dolore. Di certo la sua esistenza è cambiata. Io, davvero, non so se sarei capace di sopravvivere. 

Saluto militare ai feretri

Avrei voluto avvicinarmi a lei, non per intervistarla, ma per abbracciarla e – magari – piangere sulla sua spalla, come hanno fatto i suoi amici che, davanti a questo dolore, si sono smarriti. Uomini e donne. Tutti orfani di Elena e Diego. Come me, il cronista che è crollato in ginocchio davanti alla notizia.

( Dal Blog di Enrico Fedocci  Cronaca Criminale )