LA NUOVA MODA DI FARSI FERMARE AI POSTI DI CONTROLLO, RIFIUTARE I DOCUMENTI E PUBBLICARE I VIDEO ONLINE. IL CHIARIMENTO DELL’ESPERTO RUBEN RAZZANTE: “SEMPRE DALLA PARTE DELLE FORZE DELL’ORDINE, MA ATTENZIONE AGLI ABUSI”
di Enrico Fedocci
Negli ultimi tempi si trovano online video che mostrano alcuni provocatori che si fanno fermare ai posti di controllo delle forze dell’ordine, in questo periodo intensificati per via della emergenza Covid19, chiedendo di essere multati. Durante l’accertamento questi “cittadini” mettono in atto atteggiamenti di pura e semplice sfida all’autorità. Sollecitano la sanzione, ma, al momento di essere identificati, non vogliono fornire le generalità, ed invitano gli operatori di polizia ad identificarsi come se non fosse sufficiente l’uniforme o l’auto con lampeggianti e colori d’istituto.
Con un atteggiamento che è un misto di esibizionismo e masochismo, visto che proprio quegli stessi cittadini fanno, agli occhi di chi ha un minimo di raziocinio, una pessima figura, peraltro documentando la mancanza di senso civico con il loro stesso telefonino. In alcuni casi mandando in diretta il fatto tramite social, in altri casi si limitano a riprendere per poi diffondere il tutto successivamente.
Ne ho visionati almeno quindici e su internet sta prendendo sempre più piede il genere. Alcuni che riprendono situazioni, ma girati dallo stesso soggetto, come avvenuto a Paderno Dugnano, in provincia di Milano o a Mantova. Il che dimostra la loro volontà di mettere in difficoltà gli operatori di polizia. Nella quasi totalità degli episodi pubblicati, siano essi carabinieri, agenti della Polizia di Stato oppure personale della Polizia Locale, l’impressione che se ne trae è la totale mancanza di civiltà di chi riprende con il telefonino. Il cittadino si rivolge agli operanti dando del tu, cercando di far perdere la pazienza, mostrando una anche minima mancanza di conoscenza giuridica che regola le facoltà di chi effettua un controllo di polizia. Non avendo idea di che cosa sia il rifiuto di generalità, la resistenza a pubblico ufficiale e in alcuni casi anche l’oltraggio.
Apprezzando la grande professionalità di carabinieri ed agenti di polizia non ho potuto non notare, però, una parzialmente errata convinzione degli stessi che in tutti i video hanno ammonito il cittadino a non riprendere la scena – pur consentendo loro di farlo – evocando una ipotetica denuncia. Tutti quanti hanno detto questa cosa. E la cosa che mi ha colpito maggiormente è che a dirla erano anche quei carabinieri o agenti che erano particolarmente capaci nel gestire le provocazioni del soggetto.
Non per giustificare quei cittadini che hanno messo in atto queste provocazioni – anzi, condannandoli in maniera ferma perché il convivere sociale deve imporci il rispetto per i controlli, e addirittura considerarli un contributo di sicurezza per tutti – è opportuno però ricordare a chi effettua un controllo di polizia che non c‘è nessuna legge che vieti a chiunque di effettuare riprese con telefonini e telecamere. Sul suolo pubblico io individuo posso riprendere chiunque, perché negli spazi aperti non c’è privacy, a maggior ragione se io riprendo dei pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni.
Questa è una regola base. Ho dei limiti solo sulla diffusione: in caso di pubblicazione il cittadino non potrebbe mostrare i volti. Il fine quello di non rendere identificabili i soggetti ripresi (cosa che può sempre fare per finalità di interesse pubblico all’informazione). Per il giornalista, invece, i limiti sono pressochè inesistenti, perché in situazioni come quelle prevale l’interesse pubblico alla notizia, come conferma il Codice deontologico sulla privacy, che autorizza i cronisti a documentare qualsiasi scena consenta ai cittadini di ricevere notizie corrette e veritiere, tanto più se in luogo pubblico.
Cautele maggiori (questa regola riguarda anche i giornalisti come specificato nelle loro carte deontologiche) per quanto riguarda i soggetti deboli, come minori, donne violentate, disabili.
In quel caso, pur potendo pubblicare il fatto – chessò un minorenne che ruba i portafogli in Stazione Centrale a Milano – bisogna renderlo irriconoscibile affinché quel fatto non crei pregiudizio nei suoi confronti, anche se poi lo stesso minorenne viene ritenuto colpevole.
Proprio perché in tutti i video di cui abbiamo parlato ho notato che era convinzione comune delle forze dell’ordine che non si potessero girare le immagini, ho voluto ulteriormente approfondire la questione che un giornalista conosce perfettamente, facendo parte degli strumenti giuridici per svolgere correttamente il proprio lavoro.
Ancor più preciso sarà il professor Ruben Razzante, Docente di Diritto dell’Informazione dell’Univeristà Cattolica di MIlano, esperto di privacy e componente della Task Force della Presidenza del Consiglio dei ministri in tema di Fake News.
Professor Razzante, il cittadino può riprendere un controllo di polizia, sia pure in momenti concitati come il fermo di un individuo sospetto?
Il cittadino può certamente riprendere, in un luogo pubblico, scene come quella che lei descrive. Poi però occorre valutare l’uso che di quel video viene fatto. Un conto è mantenere il video in una sfera privata, magari per mostrarlo alla moglie o a un famigliare, altra cosa è diffonderlo. Sulla diffusione esistono alcune avvertenze da osservare e occorre sempre il consenso delle persone filmate a meno che non vengano rese irriconoscibili.
Come mai in questi video gli agenti intimano a chi viene controllato di spegnere il telefono o di cancellare i video oppure di non diffondere successivamente sui social?
E’ comprensibile la preoccupazione delle forze dell’ordine, che spesso vengono offese e dileggiate sui social, il più delle volte a partire da immagini manipolate. Dipende dal tenore della comunicazione sui social. Mi spiego. Se io pubblico sui social quella scena, da me ripresa a un posto di blocco, per raccontare una normale giornata di controlli sull’autostrada o in tangenziale, non sto facendo nulla di male. Occorre, però, sempre il consenso delle persone filmate. Se invece la pubblicazione serve per attaccare in modo pretestuoso e diffamatorio il lavoro delle forze dell’ordine, entriamo nel perimetro della diffamazione on line, ai sensi dell’art.595 terzo comma del codice penale, e lì può scattare il processo per chi fa il video e lo pubblica. Poi c’è l’ipotesi del giornalista che fa quel video e lo manda in onda. Lì i casi sono due. Se il video viene girato alla luce del sole e documenta una scena di interesse pubblico, il video può essere mandato in onda senza problemi. Se le forze dell’ordine, sbagliando, impediscono al giornalista di girare il video e addirittura lo minacciano, il giornalista è libero di registrare il video anche di nascosto e di mandarlo in onda, perché prevale il diritto di cronaca, ai sensi dell’art.2 del Codice deontologico dei giornalisti del 1998, che autorizza il giornalista all’utilizzo dei mezzi fraudolenti per documentare scene di interesse pubblico.
C’è privacy negli spazi aperti al pubblico, una strada, una piazza, un luogo chiuso ma di libero accesso?
La legge vieta la diffusione di immagini che non sia autorizzata dal diretto interessato.
Però, si può fare a meno del suo consenso quando: si ritrae una persona nota (un attore, un calciatore, un cantante); si ritrae una persona che ricopre un pubblico ufficio (ad esempio un rappresentante delle forze dell’ordine o un politico ad un comizio); la foto viene utilizzata per necessità di giustizia o di polizia; oppure per scopi scientifici, didattici o culturali; si ritraggono persone che partecipano a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
Negli altri casi, se si effettua un filmato di persone sconosciute, anche se si trovano in luogo pubblico, non potrà essere pubblicato o distribuito senza l’espressa liberatoria della persona ripresa. Da tanto si evince che il filmato realizzato per uso esclusivamente personale è perfettamente legale, senza che occorra alcun permesso. Anche quando le persone, presenziando ad un evento pubblico (politico, sportivo, ecc.), rinunciano in parte al loro diritto alla privacy, per filmarle e diffondere il video sarebbe comunque necessario il loro consenso scritto. Questo ostacolo, tuttavia, può essere facilmente superato facendo solo rapide panoramiche sulla folla, senza soffermarsi sui primi piani (altrimenti occorrerebbe la liberatoria della persona singolarmente inquadrata); oppure, editando l’immagine e rendendo non riconoscibili le persone (ad esempio, oscurando i volti). Se però il trattamento avviene per finalità informative, occorre valutare l’interesse pubblico alla notizia. Che in scene come quelle che lei descrive esiste quasi sempre.
C’è un caso specifico tra i video visionati, in cui agenti della polizia locale di Roma hanno addirittura minacciato di arresto un giornalista mentre riprendeva il fermo di un ambulante. Video di genere diverso da quelli di cui abbiamo parlato, ma che pone una questione importante.
L’episodio di cui parla è un classico esempio di abuso da parte degli agenti di polizia. Il giornalista, nell’esercizio della sua attività informativa, è libero di filmare. Sta poi a lui riportare correttamente i fatti, nel rispetto dell’essenzialità e della verità sostanziale, ispirandosi a onestà intellettuale e buona fede. Il giornalista è libero di valutare l’opportunità di mandare in onda scene di quel tipo, ove ne ravvisi la pertinenza rispetto all’oggetto del racconto. E si assume la responsabilità della sua ricostruzione giornalistica. Nessuna autorità ha il potere di vietargli di svolgere il suo lavoro.
Quale consiglio darebbe a quegli operatori di polizia, meritevolissimi soprattutto in una situazione difficile come quella della pandemia del Covid 19, quando un passante o la stessa persona controllata comincia a riprendere la scena?
Di essere tolleranti quando non hanno nulla da temere e di limitarsi a chiedere la non diffusione del video sui social. Riprendere scene in luogo pubblico è lecito e non può essere sottoposto a restrizioni. Sicuramente le forze dell’ordine che minacciano il sequestro del telefonino o denunce o ritorsioni nei confronti di chi filma scene di normali controlli ai posti di blocco compiono un abuso. Capisco che lo facciano perché terrorizzati dalla giungla dei social, della quale spesso sono vittime, ma si tratta comunque di una forzatura ingiustificata sul piano delle regole giuridiche e deontologiche.