di Enrico Fedocci
Il mio originario approccio con la cronaca nera passa proprio attraverso la prima di queste foto. Sarò più preciso, riferendomi a ciò che questa foto ha colto. Era l’inizio del 1989, frequentavo la 2ª liceo classico. Stavo per uscire dalla porta del Comando Legione, dove mio padre aveva l’ufficio, per attraversare il cortile della “Moscova” – caserma in cui vivevo – e tornare a casa. C’erano varie persone, tra loro evidentemente un fotografo. Non sapevo cosa stesse succedendo. Non capivo il perché di tanto interesse. Fu in quel momento che vidi una bambina, scarpe “All Star” alte (le notai perché le chiedevo ai miei e non me le compravano) oltre ad un giubbotto che ricordavo azzurro, tipo Henry Lloyd. Ma la foto, per questo ultimo particolare, sembra smentire il mio ricordo. Accanto a lei, mi pare fosse un brigadiere, che stava accompagnandola da qualche parte. Il giorno dopo sul Corriere scoprii chi era quella bambina: aveva 13 anni e per 4 era stata venduta dalla madre al miglior offerente. Scoprii la sua storia grazie all’istantanea di un fotografo che rimase colpito da quella scena, da quella mano fiduciosa rassicurata da una mano grande, quella di un carabiniere. Sulle prime io non ci feci così caso perché ero convinto fossero padre e figlia. Il fotografo evidentemente sapeva e scattò. In quella foto la bambina tornava bambina, il carabiniere assolveva al ruolo tradito dell’adulto che, invece di accudire, “divorava” quell’innocenza, ottenendone profitto. Fu uno choc leggere che cosa avesse subìto quella bimba per colpa della madre. Perché a distanza di tanti anni mi è venuta in mente questa scena? Questa stessa foto che – è bene ricordarlo – colpì anche Gianni Amelio a tal punto da dargli l’idea di girare il film “il ladro di bambini”.
Perché ieri sera ho guardato “La Ciociara”, il capolavoro di De Sica che valse l’Oscar a Sophia Loren. Il dolore per lo stupro di Rosetta, 11 anni, durante una “marocchinata” degli alleati che liberavano l’Italia dal giogo nazifascista mi ha turbato profondamente e rievocato i ricordi rispetto a quella bimba che camminava calpestando i cubetti in porfido della “mia”caserma, quei sampietrini che tante volte avevo calpestato anche io tornando nella mia casa al secondo piano della palazzina alloggi. Proprio nella caserma in cui ero cresciuto. Solo dopo aver conosciuto i fatti con precisione mi fece effetto grande quella foto in cui la bimba veniva immortalata nel “mio” cortile.
Chissà cosa ne è stato di quella bimba a distanza di 33 anni. Chissà se la vita le ha dato la possibilità di dimenticare e ripartire.