Ex generale dei Cc, professione imputato Il calvario di Mori, bersaglio della “giustizia”

Il generale Mario Mori e il giornalista Giovanni Maria Jacobazzi prima di un dibattito al Palazzo della Regione Lombardia.

di Giovanni Maria Jacobazzi *

Il 15 gennaio del 1993 veniva catturato a Palermo il capo di Cosa nostra Salvatore Riina. L’arresto venne eseguito dal Ros, il Raggruppamento Operativo Speciale dell’Arma dei Carabinieri, di cui Mario Mori, allora colonnello, era il vice comandante.

Da quel giorno è iniziato per Mori un carosello giudiziario che, a memoria, non ha molti precedenti. Da eroe nella lotta alla mafia a servitore infedele dello Stato, sospettato di avere tessuto la trama della trattativa con i sanguinari boss corleonesi, per mezzo di don Vito Ciancimino.

Signor Generale, ci può elencare i processi che hanno messo in discussione il suo operato?
Essenzialmente sono tre. Nel primo, a proposito della cattura di Riina, ero accusato di favoreggiamento a Cosa nostra in quanto non avrei, dopo il suo arresto, perquisito il covo dove era latitante. Con me era imputato anche l’attuale colonnello Sergio De Caprio, il capitano Ultimo, l’ufficiale che materialmente mise le manette ai polsi di Riina. In questo processo siamo stati assolti. La sentenza, che non è stata appellata dalla procura di Palermo, è diventata definitiva nel luglio del 2006.

Nel secondo processo, sempre a Palermo, sono stato accusato, invece, di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano. Coimputati erano il colonnello Mauro Obinu, mio stretto collaboratore, e il generale Giampaolo Ganzer, mio successore al Ros. Il dottor Di Matteo, che rappresentava la pubblica accusa, aveva chiesto per me una condanna a 9 anni. Il Tribunale di Palermo, al temine di un lungo dibattimento, ha smontato in radice le tesi accusatorie, assolvendoci. L’impianto dell’accusa si basava, essenzialmente, sulla testimonianza dimostratasi inattendibile di Massimo Ciancimino. La procura di Palermo presentò appello contro la nostra assoluzione. Rappresentante dell’accusa, nel processo di secondo grado, era il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato. A maggio dello scorso anno siamo stati assolti anche dalla Corte di Appel- lo che ha evidenziato come fosse traballante l’impianto accusatorio. L’altro giorno, però, mi è stato comunicato che il dottor Scarpinato ha presentato ricorso in Cassazione contro questa assoluzione.

Una storia infinita?
Al momento sì, anche perché in questo processo ho rinunciato alla prescrizione.

Manca il terzo processo, quello sulla Trattativa Stato- Mafia.
In questo processo, inizialmente condotto dall’allora procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, l’accusa è rappresentata nuovamente dal dottor Di Matteo.

In che fase è il dibattimento?
Il processo è iniziato da circa tre anni. A oggi sono state celebrate 160 udienze nelle quali sono stati sentiti solo i testi della pubblica accusa.

Non deve essere facile affrontare un processo di questo tipo.
Solo io e pochi altri possiamo affrontare un dibattimento di questa portata.

Può essere più chiaro?
Per un processo del genere servono soldi, tanti soldi. E poi molto tempo. Io ho sia i soldi che il tempo. Sono stato generale dei Carabinieri e, nominato prefetto, direttore del Servizio segreto civile. Ho una buona pensione. Questo mi permette di pagare gli avvocati che da anni lavorano a tempo pieno solo sui miei processi e di seguire le udienze. Ogni volta che vado a Palermo, io vivo a Roma, fra viaggio in aereo, albergo, pranzi, sono circa 500 euro. Tutti soldi che sto spendendo per difendermi e che non mi saranno restituiti. Essendo i fatti contestati asseritamente commessi quando ero in servizio, in caso di assoluzione l’Amministrazione militare rimborserà solo una parte delle spese vive relative agli onorari dei legali. Tutto il resto, i viaggi appunto, ma anche il costo per le copie degli atti o le spese per i diritti di cancelleria, no. Si fa presto a fare il conto.

E poi mi diceva del tempo.
Sono in pensione, ho tempo di leggermi tutti gli atti. E poi sono il solo che conosce come sono andati i fatti.

Immagino che il numero degli atti sia elevatissimo.
Di più. Ultimamente è stata depositata una memoria sulla mia vita professionale da parte del colonello Massimo Giuraudo, un mio ex dipendente al Ros e attuale teste dell’accusa: 13 faldoni, 12.000 fogli.

Cosa voleva dimostrare la procura?
Secondo alcune tesi, diversi appartenenti a movimenti indipendentisti e organizzazioni di tipo mafioso, collegati e coordinati da Licio Gelli, si sarebbero negli anni attivati per la spartizione del territorio nazionale secondo precisi interessi. Per l’accusa, io fin da giovane ufficiale sarei stato legato al mondo dell’eversione di destra e alla massoneria. Per Scarpinato sarei “un soggetto dalla doppia personalità e dalla natura anfibia, che ha sempre deviato dalle regole per assecondare interessi extraistituzionali”.

Più che un processo è una macchina del tempo storico- giudiziaria. Come ci si può difendere da contestazioni per fatti risalenti ad oltre 50 anni fa?
Non è facile. Ma io ho una memoria di ferro. E da sempre, poi, annoto sulle mie agende cosa faccio ogni giorno.

C’è “accanimento” da parte della procura di Palermo nei suoi confronti?
Io penso che Di Matteo, a differenza di Ingroia, sia convinto dell’impianto accusatorio.

Certa stampa, in particolare il Fatto quotidiano, “sponsorizza” da sempre questo processo.
Su questo processo si sono costruite carriere e vendute copie. Inizialmente, l’unico punto a favore di questa compagnia di giro è stato il rinvio a giudizio da parte del dottor Morosini, attuale componente del Csm. Anche se io, se permette, non darei molta importanza a questo passaggio procedurale. L’istituto dell’udienza preliminare ha dimostrato in tutti questi anni di essere inefficace come filtro. Il rinvio a giudizio è quasi scontato.

L’assoluzione di Calogero Mannino è un punto a suo favore?
Mannino, che aveva scelto di essere giudicato con rito abbreviato, è stato assolto. E Nicola Mancino è indagato solo per falsa testimonianza. Quindi, questa trattativa con chi l’avrei fatta se manca la controparte politica? Da solo? La mia posizione può essere descritta come una “colpa d’autore”. Così veniva definita nella dottrina tedesca l’idea che un soggetto potesse essere punito non tanto per il fatto commesso, quanto per il suo modo di essere.

Un po’ si diverte in questo processo?
Se non fosse per i soldi che sto spendendo mi verrebbe da ringraziare la procura di Palermo. Questi dibattimenti mi stanno allungando la vita. Sono in attività, ho la mente lucida e allenata, non passo le giornate ai giardinetti.

Ps: il generale Mario Mori ha compiuto 77 anni. Questa intervista è stata rilasciata a Milano dove Mori si trovava per la presentazione del suo libro “Servizi e segreti’ con l’ex segretario del partito Radicale Giovanni Negri. Mi ha dato appuntamento nell’albergo dove alloggiava alle ore 7 del mattino. Posso confermare che è in grande forma.

* (Intervista al generale Mario Mori di Giovanni Maria Jacobazzi, Il Dubbio)