Mercoledì scorso mi sono occupato di un insediamento abusivo di nomadi in zona
Musocco, a Milano. La segnalazione di un cittadino arrivata in redazione indicava 4 punti di quella zona in cui c’erano roulotte con le consuete discariche a cielo aperto, i bagni improvvisati nelle aree verdi, bambini che non vanno a scuola, cresciuti nella sporcizia etc, etc, etc. Era da un po’ che non mi occupavo di nomadi. Ma chi fa questo lavoro sa che non è questione semplice: devi documentare il degrado, devi fare riprese, devi avvicinarti per fare le interviste e non sempre ti accolgono a braccia aperte. Anzi: ti urlano, ti lanciano cose… ora, per carità, non è di certo un fronte di guerra, ma per fare questo devi avere un operatore che ti stia dietro, che non abbia paura. Beninteso: la paura è un’emozione che non puoi controllare, non ci puoi fare nulla. Quindi, non c’è giudizio da parte mia quando chiedi ad un operatore: “Te la senti?!” Anche perché in questo contesto per portare a casa il servizio alla paura non si contrappone il “coraggio”, bensì “l’incoscienza”. Per fare tanti servizi – ne cito uno per tutti il 1º maggio del 2015 con la guerriglia dei noexpo – io ho sempre affrontato la necessità di documentare con l’incoscienza.
Sicché l’altro giorno ho chiesto alla produzione di chiarire ai colleghi della troupe che eravamo candidati a prenderci insulti e sassate. E che quindi dicessero subito se non se la sentivano. Mi è toccato in sorte Andrea Cavalleri. Andrea Cavalleri, bergamasco, vaga somiglianza con l’attore David Keith, il “Sid” di “Ufficiale e Gentiluomo”, è davvero una persona perbene. Bravo nel suo lavoro, non si risparmia mai, monta da Dio e quando “giri” un servizio con lui a tenerci compagnia c’è sempre la sua simpatia e gioia di vivere. Ci siamo avvicinati all’insediamento e – come tutte le volte accade alla vista di telecamere e microfoni – sono cominciati gli insulti, le urla. Non puoi chiudere un servizio senza avvicinarti e senza raccogliere una voce. Quindi, una volta fuggiti alcuni uomini, dopo che altri si erano chiusi nelle roulotte fingendo di non esserci (non è un caso che il giorno dopo la Polizia Locale abbia dato esecuzione a due custodie cautelari in carcere per fatti precedenti) sono state alcune donne a continuare a inveire contro di noi da dietro i finestrini. Una in particolare – si è poi scoperto che era madre di una delle due persone arrestate il giorno dopo – urlava talmente forte che la voce le si rompeva. Fai una domanda, fanne un’altra… alla minaccia che ci avrebbe tirato la candeggina stavamo spostandoci limitandoci a descrivere ciò che vedevamo.
Ed è stato proprio in quel momento che si è spalancata per un istante la porticina ed è arrivata una secchiata di un non meglio precisato liquido che ha colpito in pieno sul viso e sul busto Andrea, mentre a me è arrivato solo qualche schizzo sulla mano. Credetemi, non riuscivo più a parlare: avevo in mente solo la minaccia di pochi istanti prima riguardante “l’acido”. Io non sapevo cosa fosse concretamente la candeggina e che effetto avesse a contatto diretto con la pelle per cui il mio terrore era che Andrea fosse stato sfigurato. E nemmeno è stato per me sufficiente che alla mia domanda “cosa ti ha tirato addosso?” lui rispondesse con un tranquillizzante “boh… sapone” perché mi sono subito tornati in mente i racconti degli sfregiati degli ultimi anni i quali – tutti! – hanno raccontato che sulle prime non realizzi subito che la sostanza è corrosiva. In poche parole, in caso di acido corrosivo servono una trentina di secondi per realizzare ciò che ti sta accadendo. Ci siamo tranquillizzati solo quando uno dei nostri tre addetti alla sicurezza ha annusato Andrea.