Ieri passavo per via Solferino, angolo via Ancona, qui a Milano, la città in cui vivo. Stavo attraversando. Il solito mendicante ha tentato di fermarmi. L’ho guardato appena, giusto il tempo di fargli cenno con la mano che stavo telefonando, avendo io la cuffietta nell’orecchio. Nessuna conversazione in corso, in realtà. Ho finto.
Non faccio, solitamente, la carità per strada. Nel senso che ad ogni angolo qualcuno te la chiede, spessissimo questuanti di professione. Ma nel mio distratto dribblare questo signore, forse poco più giovane di me, ho fatto a tempo a notare che aveva la mascherina abbassata e che era vestito in maniera il più possibile dignitosa. Ma la cosa che mi è rimasta maggiormente impressa in quella frazione di secondo in cui l’ho inizialmente guardato è stata l’espressione del suo viso mentre mi si faceva avanti con il dito alzato per attirare la mia attenzione: l’espressione di chi è imbarazzato, di chi teme di disturbare. Di chi si vergogna. Non era molto bravo nel chiedere l’elemosina, a tal punto che – mi sono fermato ad osservarlo poco distante – nessuno gli dava niente e tutti procedevano oltre, esattamente come avevo fatto io. “Sbaglia tecnica” ho pensato. Già, l’ho osservato abbastanza a lungo per avere l’impressione di quanto fosse impacciato e maldestro nel cercare di “spillare” quattrini ai passanti. Non lo dico con l’esperienza del questuante, per mia fortuna, ma con quella del suo antagonista naturale, ovvero chi cerca di evitare di mettere la mano in tasca per regalare qualcosa ad uno sconosciuto che ti chiede una mano.
Sono molto selettivo in questo. Soprattutto verso quelli che vivono di elemosina senza minimamente pensare ad un’alternativa o esserci costretti.
Sempre da lontano ho aperto il portafoglio, ho trovato 10 euro – mi sono detto “sono troppi” – e ho deciso di dargliene 5. Sono entrato in un panificio lì all’angolo che, però, non mi ha spicciato la banconota. Sono uscito e ho notato che era sempre all’incrocio, ma più vicino a me. Mi sono quindi ricordato che avrei dovuto comprare il detersivo per i piatti. Era l’occasione per farmi cambiare i soldi. Allora sono entrato in un supermercato lì accanto, in via Ancona. Il negozio è molto piccolo, stretto nell’unico corridoio che dall’ingresso accompagna l’acquirente all’uscita. Una volta dentro, cercando i detersivi, mi sono sentito superare da una persona zoppicante. Era lui. Aveva in mano una bottiglia di birra. Dopo aver trovato il sapone l’ho rivisto in fila alla cassa e l’ho osservato nuovamente: questa volta era intento a prendere le monete dal suo portafoglio vecchio e visibilmente vuoto. E lo faceva come lo farebbe un bambino che va in giro per gioco con il portafoglio smesso di qualche familiare, con un solo “soldino” regalato dalla mamma o dal papà. Ha preso il denaro dalla tasca in cui si tengono le monete: contatissime, non c’è stato bisogno di resto. Dentro si intravedeva una tesserina di cartone infilata dove generalmente si tengono le carte bancomat, che ovviamente non c’erano.
L’ho osservato con grande attenzione perché mi ha comunicato grande pulizia d’animo, grande vulnerabilità. In mano aveva solo la bottiglia di birra: quella sarda, la Ichnusa. Mentre attendeva mi sono interrogato se fosse opportuno dargli quei 5 euro che sicuramente sarebbero finiti in alcol. E ho cercato di immaginarmelo giovane, magari pieno di speranze. Intanto continuavo a guardarlo. E non ho potuto non notare la sua espressione gentile anche nei confronti della cassiera mentre pagava, quasi si sentisse di troppo anche in quella situazione. Forse temeva che la cassiera guardasse con fastidio la sua sobria trasandatezza lì dentro, in quel supermercato frequentato dalle famiglie borghesi della zona di Brera. Quando sono uscito non era tornato dove l’avevo visto inizialmente, ma aveva preso via Ancona in direzione di corso Garibaldi ed era già avanti un centinaio di metri. Con i miei 5 euro in mano stavo per rinunciare, ma poi ho notato che, mentre camminava beveva, quindi si attardava un pochetto, rendendomi più agile il raggiungerlo senza mettermi a correre come un matto. Inoltre – poverino – zoppicava pure. Ho quindi deciso di raggiungerlo.
Passo spedito, sono arrivato a lui che stava attraversando corso Garibaldi per prendere perpendicolarmente una via poco frequentata che porta al Piccolo Teatro Studio. Una coppia di signori che arrivavano da un’altra direzione si sono frapposti proprio mentre l’avevo quasi raggiunto. Non volevo chiamarlo da lontano. Solo dopo che la coppia si è allontanata, per non metterlo in imbarazzo davanti a terzi, ho deciso di chiamarlo: “Signore, mi scusi… prima ero al telefono – ho detto quando si è voltato, vergognandomi un poco della mia indifferenza di qualche minuto prima – non volevo essere scortese con lei”.
Mentre finivo la frase la mia mano entrava in contatto con la sua e gli consegnava quei 5 euro. Sembrava stupito di essere fermato per strada. Ancora una volta un sorriso imbarazzato. L’espressione di chi non è abituato – o forse non si rassegna – alla carità. Solo 5 euro gli ho dato. Mi piace pensare che non siano stati usati per la birra. Guardandolo, in lui ho visto me stesso. La vita ha mille strade. Se la sorte ti porta ad imboccare quella sbagliata – magari anche solo per colpa dell’alcol – nulla di più facile finire come lui. Buona fortuna, ignoto e sfortunato mendicante: mi hai fatto riflettere sul fatto che nella vita è un attimo passare dal caldo di una casa felice al dramma di essere scansato. Come se non si esistesse nemmeno.