CARI GENITORI, NON SEMPRE I CONSIGLI DEGLI INSEGNANTI SONO GIUSTI. SULLA SCELTA DELLA SCUOLA SUPERIORE, FATE COME MIA MADRE: ABBIATE FIDUCIA NEI VOSTRI FIGLI E INVESTITE SU DI LORO. GLI CAMBIERETE LA VITA –
di Enrico Fedocci
L’altro giorno ci pensavo: premesso che sono sempre stato uno studente pessimo, spesso coerente nel mio essere asino – dalle elementari al liceo – ciò di cui devo ringraziare i miei genitori, in particolar modo mia madre, è di avermi portato a superare la Maturità. Peraltro la Maturità di una scuola eccellente. Per la laurea me la sono vista da solo, con esiti altalenanti, ma comunque positivi.
Dicevo che ero uno studente pessimo: mia mamma, paraculescamente, mi aveva messo davanti – senza impormele – due sole strade come potenzialmente percorribili: il Liceo Classico e il Liceo Scientifico. In matematica ero una frana, lei mi aveva fatto credere di essere molto bravo a scrivere; scelsi quindi il Classico come futuro dopo le Medie.
Ricordo ancora: Scuola Media Carlo Pepoli, Bologna, mi pare 3ª F. Non ricordo la sezione al cento per cento, perché a causa dei trasferimenti dovuti al lavoro di mio padre cambiavo spesso scuola. La professoressa di Lettere si chiamava Milone ed era un’insegnante gentile e simpatica. Quel giorno in aula chiese a tutti quale indirizzo volessimo scegliere alle Superiori. Tra i miei compagni solo uno disse il “Liceo Scientifico”. Si chiamava Cesare. Tutti gli altri, quasi tutti più bravi di me, scuole tecniche ed istituti professionali. Per cui, quando teneramente ed ingenuamente risposi senza batter ciglio alla domanda “E tu, Fedocci, dove andrai dopo le Medie?” con un “Al Liceo Classico!”, tutti scoppiarono a ridere.
“Fedocci al liceo Classicooooo” e giù di gomito tra i banchi. Ricordo ancora distintamente due di loro perché me lo fecero proprio davanti: si chiamavano Lisa ed Annalisa, una rossa e l’altra bionda, tutte e due estremamente carine, non malaccio a scuola, specialmente una. Vestivano come Madonna. Era l’anno di “Like a Virgin”
Ma lo stupore fu trasversale, unanime.
Come, soprattutto, ricordo la sorpresa della professoressa, capelli grigi e una pronuncia con una mezza V al posto della R: “Envico Fedocci vuole andave al Liceo Classico???!!!.” ripeté anche lei quasi sconvolta da questa – devo ammetterlo – molto ingenua affermazione.
In fondo io ero molto immaturo. Quindi, mi lasciavo guidare dai miei genitori, più che decidere io personalmente. E mi ero fidato delle opzioni proposte. Ciò che più mi resta di quel giorno, non è tanto lo sfottò dei compagni, che, in fondo, erano ragazzini e fa parte di quell’età essere senza filtri, ma la mancanza totale di fiducia che l’insegnante – il principale docente del ciclo di studi – poneva su un suo studente che ambiva a crescere, seppur per “sentito dire” e coi suoi enormi limiti. Asino sì, davvero asino, aggiungo io. Fieramente asino, se proprio vogliamo mettere i riccioli a questa frase.
Ma in fondo ero solo un ragazzino normale, svogliato e di una intelligenza nella media o forse lievemente sotto media. Quell’anno fui promosso all’esame di terza con “sufficiente”. E credo – non sono sicuro perché dovrei controllare – che nella scheda valutativa in cui si indicava l’indirizzo scolastico i miei insegnanti avessero suggerito di frequentare le Professionali. Sono praticamente certo di questo.
Mia madre, dopo avermi fatto una finta pre-iscrizione a febbraio di quell’anno ad una scuola professionale per paura che gli insegnanti mi bocciassero vedendo che puntavo al Ginnasio, a licenza media ottenuta mi spedì al Liceo Classico Luigi Galvani, una delle scuole più dure di Bologna. Dove – bisogna precisarlo?! – non mi distinsi per la preparazione e i bei voti. Così come non credo di essere ricordato come uno studente modello al Liceo Classico Parini di Milano, città in cui mi trasferii in 5ª ginnasio. Ci tengo a dirlo, perché in fondo me ne vanto: bocciato e rimandato durante il Liceo, mai promosso a giugno.
Qual è, dunque, la morale di questo mio racconto?
Primo, che è meglio studiare ed essere coscienziosi, ovviamente;
secondo, che ci si può realizzare anche senza scuole prestigiose, senza dubbio;
terzo, non è obbligatorio fare scuole dure, ma, soprattutto in un ragazzino svogliato, una full immersion dove tutti intorno danno il proprio meglio, può essere una buona terapia d’urto.
È pur vero che io non ero un buono studente e questa cosa non era la fine del mondo.
Altrettanto vero che pensavo tutto il giorno alle ragazze e a come non studiare. Ma, innegabile, che si può crescere, migliorare, cambiare… in poche parole: maturare, prendere coscienza di ciò che ti circonda senza lasciarti trascinare a fondo dall’essere sfaticati.
È fondamentale, perciò, che un genitore o un insegnante spingano un ragazzino a dare il meglio di sé e a non, come dice la mia amica Benedetta Verdini, dare “consigli al ribasso”.
Un ragazzino di 13 anni non può scegliere da solo quel determinato ciclo di studi che potrebbe limitarlo. Perché – uso l’Interiezione “magari” – è contaminato dall’ambiente in cui cresce, se quell’ambiente lo limita culturalmente;
“magari” sceglie una scuola solo perché ci vanno gli amici, la ragazzina dei sogni. O, semplicemente, la scuola è vicina a casa. In quella classe delle Medie avevo dei compagni migliori di me che ora hanno il rammarico di non aver puntato ad una scuola più formativa, che fosse l’anticamera dell’Università dove avrebbero fatto ancora meglio. Lo dico perché due di loro, davvero i più bravi della classe, me lo hanno confidato recentemente. E io che ero peggio rispetto ai due li considero ancora come argento vivo.
Quegli anni al Classico hanno messo in me, diplomato con 36/60esimi, dei semini che poi sono germogliati nel terreno dissodato e reso fertile anche dalle versioni di greco e di latino, dai grandi filosofi o dalla Storia dell’Arte. Quegli anni mi hanno spalancato le porte dell’Università più di una scuola professionale che, invece, ti porta subito ad entrare nel mondo di un lavoro definitivo.
Mentre l’Università mi ha insegnato a superare gli ostacoli e ad investire su di me, non accontentandomi.
Da studente pessimo, quindi, ho trovato la piena realizzazione nella Professione che poi ho scelto da adulto, passando attraverso la laurea. Facendo il giornalista, prima di carta stampata, poi televisivo. Non risparmiandomi mai nel lavoro che avevo scelto, cercando di portare sempre a casa il migliore risultato possibile. E lavorando sodo, saltando giorni di riposo o “mangiandomi” le ferie con lunghe trasferte su qualche caso che non volevo mollare.
Ricordo un commento di mia madre a una mia fidanzata: era il 2000, mia mamma era venuta ospite a casa mia a Milano. La sera tardavo e la mia fidanzata di allora sottolineò come lavorassi sempre fino a tardi. “Mah.. non lo riconosco più – commentò mia madre – Da ragazzino non era mica così: non aveva voglia di fare niente”.
Da studente pessimo ho avuto anche modo di esorcizzare l’aula, passando dall’altra parte della barricata, insegnando come professore a contratto prima all’Università Cattolica, poi all’Istituto di formazione professionale Bauer della Provincia di Milano come direttore del Corso di giornalismo. Da insegnante ho cercato di dare sempre il massimo ai miei studenti, cercando di stimolarli ad ottenere il meglio e a puntare sempre più in alto. Era evidente che c’erano quelli più portati e quelli meno portati per la professione giornalistica, ma stiamo parlando di ragazzi universitari. Quindi, ripensandoci, davvero non capisco quell’insegnante delle Medie che, davanti al mio “Vado al Liceo Classico”, rispose “Ma Fedocci…”. Come dire, “Ma non ti rendi conto?!”
Un ragazzino va stimolato anche se è una capra, come capra sapevo essere io. Deve essere stimolato dai genitori, dagli insegnanti, dagli amici più grandi. A volte penso a come sarebbe andata se avessi seguito le indicazioni dei miei insegnanti delle Medie e avessi scelto davvero le Scuole Professionali.
Sarei stato uno studente pessimo anche lì. Di certo. Coerentemente con me stesso. Ma quei semini – piantati dall’Abate Parini, dal Leopardi, da Schopenhauer, da Lucrezio, dal Foscolo, da D’Annunzio, dal professor Silvio Pistocchi, dal professor Enrico Uguccioni, da mia madre che mi tormentava traducendo con me le versioni di greco tutti i pomeriggi – non sarebbero germogliati. E adesso non sarei ciò che sono. Niente di che, sia chiaro. Ma meglio di ciò che mi avevano pronosticato alle Medie.
Che lavoro farei se i miei genitori – che avevano alle spalle buoni studi e quindi la capacità di valutare – avessero seguito il consiglio dei professori? Un altro, molto probabilmente. Magari migliore, che ne sai?! Ci ho pensato tante volte. Ma ora che ho fatto ciò che ho fatto, non ho alcun rimpianto.
La vita ti può portare ovunque. I buoni consigli, quelli che ti invogliano a studiare e a metterti in discussione, sono sempre i più opportuni. Anche per un asino come me.
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PS: questo articolo è dedicato a Greta Mencarelli, figlia di Barbara, che frequenta la terza media a Fano e ora dovrà scegliere chi e che cosa diventare nel suo futuro. Prossimo e remoto