Cronaca criminale

Mani Pulite, la ricostruzione “falsa” di Di Pietro Intervistato, l’ex pm si prende meriti non suoi

    Antonio Di Pietro

di Enrico Fedocci

Sono passati 25 anni dal 17 febbraio 1992. Giorno in cui fu arrestato Mario Chiesa nell’ambito di uno scambio di mazzette. A far deflagrare il caso, Luca Magni, un piccolo imprenditore che aveva avuto la richiesta di denaro da parte di Mario Chiesa, ai tempi presidente del Pio Albergo Trivulzio. Un incarico frutto della spartizione politica.

Ieri, alla vigilia dell’anniversario dell’arresto di Mario Chiesa, fatto che corrisponde alla nascita dell’inchiesta Mani Pulite, è stata pubblicata una intervista video sul quotidiano online “Bergamo News” ad Antonio Di Pietro, prima pm di quell’inchiesta, successivamente in politica con il partito “L’Italia dei Valori”

La ricostruzione di Di Pietro è subito sembrata poco aderente alla realtà.
Non negli elementi oggettivi di quei fatti, ma nella personalizzazione degli accadimenti. 

Ecco che cosa ha risposto Di Pietro alle domande del giornalista Davide Agazzi su come fosse nata l’inchiesta:

“… il fascicolo è stato aperto 15 giorni prima in quanto a un signore, Luca Magni, imprenditore, gli è stata richiesta una mazzetta da 15 milioni di lire, 7500 euro, roba da… una mini mazzetta… Ma lui era un piccolo imprenditore e non sapendo cosa fare chiese un consiglio a un carabiniere. Il carabiniere, a sua volta, disse “andiamo a chiedere al poliziotto” (io ero poliziotto una volta, prima di fare il magistrato).
Vennero da me, “Che facciamo?”
“Stavolta non ci facciamo fregare – risposi io – assecondiamolo”.

Prima inesattezza: l’inchiesta non fu aperta 15 giorni prima, il tutto avvenne 2 giorni prima, era sabato 15 febbraio, con un decreto d’urgenza. E Di Pietro fu contattato solo perché era il pm di turno, non perché fosse “il poliziotto”, lasciando intendere che i carabinieri si fossero rivolti a lui –  e proprio a lui – per qualche motivo specifico, per qualche sua particolare competenza sul caso da trattare. Il magistrato che si occupava di quel tipo di reato era un altro. I milioni di lire erano 14, non 15.

Poi di Pietro prosegue nella ricostruzione di quelle ore:
“Apriamo il fascicolo. Una volta aperto il fascicolo ho detto a Magni, “quando devi portare i soldi a Chiesa vieni prima da me”.
E’ venuto da me. Ogni 100mila lire – c’erano le 100mila lire, i giovani non lo sanno – ogni 100mila lire l’ho siglata… c’era la firma mia”.

Seconda inesattezza: “le banconote non furono firmate da Di Pietro, ma dal capitano dei carabinieri Roberto Zuliani, detto Giaguaro 1, con sigla ZR e dal maresciallo Sebastiano De Jannello, detto Grinta, con sigla DS. 

Ma i particolari snocciolati dall’ex pm sono tanti, precisi, pieni di dettagli e il suo racconto prosegue:
“E poi ho detto a Luca Magni: “Adesso andiamo a portargli i soldi”.
Quindi, siamo andati a portarglieli.
Insieme a lui c’è andato un suo amico, un carabiniere, io a mia volta li ho accompagnati – ovviamente ero il signor Di Pietro, non il pm Di Pietro – e l’ho aspettato fuori dall’anticamera. Questo è entrato, ha fatto quello che doveva fare, quando ha finito è uscito e sono entrato io e ho detto a Chiesa “Scusi, questo è il tesserino”. “Cosa vuole?” ha risposto Chiesa. “Apra quel cassetto”. Apriamo il cassetto e c’erano le mazzette. “No no, questi sono miei” ha esclamato Chiesa.
“No, sono miei – ho ribattuto io – ci stanno i miei soldi là. Questa qua è la mia firma. La firma è la mia. Come ho fatto a metterceli in quel cassetto?!”.

Antonio Di Pietro

Terza inesattezza, ma questa è ancora più grave perché si offre una ricostruzione della realtà totalmente falsata con i protagonisti del fatto sostituiti da altri: Di Pietro non era presente all’arresto di Chiesa. Durante l’arresto non c’era perché era un arresto in flagranza di reato e non su ordinanza di custodia cautelare. Di Pietro in quei minuti, era un lunedì, era in tribunale perché aveva un processo. Nella stanza di Chiesa il primo ad entrare fu il maresciallo De Jannello, il secondo il capitano Zuliani e poi altri uomini della Prima Sezione del nucleo investigativo del Gruppo carabinieri di Milano. Solo più tardi è arrivato Di Pietro, accompagnato dai carabinieri.

Certamente, a 25 anni di distanza, la lezione che si ricava è che la corruzione non è affatto diminuita e l’artefice di Mani Pulite ha assunto un ruolo politico di primo piano.

Il colonnello Roberto Zuliani

In quegli anni milioni di italiani attribuirono una missione salvifica a gente come il magistrato di Mani Pulite. C’è chi dice che Di Pietro abbia poi utilizzato questa ampia e solenne investitura per realizzare il proprio progetto politico. Chissà.

Preme sottolineare, in un’ottica di coerenza deontologica, la piena veridicità delle cose scritte e descritte nel pezzo e che si fondano su testimonianze facilmente rintracciabili e atti regolarmente consultabili: uno su tutti, le fotocopie delle banconote che non riportano certamente la firma di Di Pietro, ma quelle di altre persone. 

Una domanda finale: come mai l’atto di inchiesta sull’avvio di Mani Pulite ha un numero di fascicolo del 1991, quando, invece, la notizia di reato sulla mazzetta a Mario Chiesa arrivò sulla scrivania del pm di turno solo sabato 15 febbraio 1992?
Questo dovrebbe spiegarcelo l’allora pm Di Pietro.

 

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