di Enrico Fedocci
Cose già sentite all’indomani di altri miei articoli simili scritti a difesa di un principio di rispetto dei fatti e delle persone. Ho difeso Marita, sì. Ho difeso anche Bossetti, se è per questo, ma – soprattutto – ho voluto difendere la realtà, la verità.
Marita è bella e quindi per questo viene difesa? Opinioni. Forse ai malevoli fa comodo pensarla così. Io credo, piuttosto, che proprio questa avvenenza le procuri più danni che vantaggi: è diventata il bersaglio preferito di certa stampa che, pur di parlar di lei, di pubblicare le sue foto, le attribuisce di tutto. Anche cose assolutamente irrilevanti: come l’auto con cui è arrivata venerdì in udienza, una Porsche Panamera guidata dal consulente della difesa Ezio Denti.
Una vergogna. Giornalismo ingenuo o proprio spazzatura – lascio decidere a voi – che associa due elementi senza interpretarli.
Allora, ricostruiamo: è pacifico che tutte le volte che Marita Comi è arrivata in udienza sia stata accompagnata da Ezio Denti. Una volta con la sua macchina, una volta con quella di Denti (una macchina più sobria, non la Porsche che era stata data in prestito da un amico) e questa volta, appunto, a bordo della sportiva quattro porte della casa di Stoccarda.
Forse sarebbe salita su un trattore con la stessa noncuranza.
Se proprio dobbiamo fare una critica, e la facciamo volentieri, a sbagliare eventualmente è stato proprio l’investigatore privato Ezio Denti che non ha saputo – o non ha voluto – valutare le conseguenze ad un simile gesto facilmente prevedibili. A chi scrive viene quasi il sospetto che Denti, magari in cerca di una ribalta e di nuova visibilità, abbia voluto usare quell’auto proprio per far notizia, per farsi riprendere con Marita e l’auto e finire così in tv e sui giornali.
Ma perché questa donna viene tanto attaccata dalla stampa?
In fondo è stata accanto al marito in ogni momento di questa vicenda giudiziaria. E non lo ha fatto per partito preso, solo perché aveva necessità di difendere il coniuge e padre dei suoi tre figli: sono le intercettazioni in carcere che lo dimostrano. Dubbi ne ha avuti e gli inquirenti se ne sono resi conto. Di domande ne ha fatte parecchie: per capire, per rendersi conto, per cercare di stanarlo e scorgere, magari da una risposta affrettata o dagli occhi che si abbassavano su una domanda più diretta, se davvero Massimo Giuseppe Bossetti potesse avere ucciso la 13enne Yara Gambirasio.
In molti si sono stupiti di vederla ancora in aula, se non altro per quelle lettere, piuttosto pesanti ed intime, scritte dal muratore di Mapello ad una detenuta del suo stesso carcere, tal Gina, con cui il 45enne scambiava effusioni epistolari.
Un duro colpo per Marita che – nonostante tutto e nonostante tutti – continua a rimanere accanto al proprio uomo, portando ogni settimana i figli in carcere, affinché il padre possa mantenere un legame forte con i suoi tre piccoli. A dire il vero, dopo la pubblicazione delle lettere, Marita Comi ai colloqui non c’è andata per due settimane di fila. Poi il buon senso ha prevalso, l’amore coniugale, anche se messo a dura prova dalle sbarre, si è ulteriormente rafforzato e lei ha ripreso ad essere moglie attenta e premurosa. Un’impresa non facile. Forse più semplice sarebbe stato scappare. Ma lei, per se stessa e per i suoi tre figli, non ha mollato ed è restata nel posto più scomodo ed impopolare: accanto al suo Massi.